Non è facile per gli odierni collocarsi in un mondo dialettale; il dialetto è terra degli anziani, della civiltà contadina,
di alcuna tipologia cinematografica e teatrale; il dialetto ha una sua letteratura spesso arguta, talora salace ed umoristica.
Avere un amico che vuol mettere in dialetto la Divina Commedia è esperienza assolutamente non comune
anche se capita di imbattersi in cimenti analoghi esperiti anche da autori tutt’altro che minori.
Quando Emilio mi confidò di star mettendo in dialetto lombardo un canto della Divina Commedia
devo confessare di aver pensato che non avrebbe fatta molta strada; lui me lo leggeva, io abbozzavo.
Neppure, però, mi meravigliai più di tanto, conoscendo la sua poetica dialettale.
D’altro canto di Emilio non sbalordisce più niente: naturalista, animalista, filantropo e antropologo
quanto filosofo naturalmente tale, dà agli altri molto più di quanto non riserba a sé stesso.
La sua passione micologica si è sviluppata fino ad un approfondimento tale da porlo fra gli esperti
assoluti della materia. Altrettanto può dirsi per l’ornitologia: ne sa più lui di molti cosiddetti specialisti
e lui ama gli uccelli feriti o caduti dal nido che molti gli portano e lui cura fino a guarirli, crescerli,
rilasciarli al loro mondo.
Ci si può domandare cosa tutto ciò abbia a che fare con la Divina Commedia in dialetto lombardo.
Probabilmente poco o nulla ma, secondo me, rientra nella personalità eclettica che ben emerge
dai suoi dipinti esprimenti serenità e turbamento insieme.
In questa opera immane vi è tanto lavoro, puntigliosità e capacità di conciliare senso poetico e
chiarezza di contenuti, musicalità e le necessarie ricerche lessicali per non allontanarsi dalle caratteristiche
che fanno del dialetto una vera e propria lingua. In questo lavoro, che giunge oggi alle stampe, Emilio
cerca e ritrova la “sua” poesia e il senso delle proprie radici che abbiamo apprezzato nelle sue raccolte
di poesia dialettale.
Ovviamente io non sono attrezzato culturalmente per azzardare giudizi sul risultato, ma auspico che
coloro che si dedicheranno a questa lettura non vi cerchino la stranezza di un autore non comune,
ma cerchino e trovino il filo di una vera lingua, ancora viva, usata per tradurre un’opera eterna e
universale come la Divina Commedia di Dante.
A Emilio l’augurio di una buona diffusione del suo lavoro, specie fra i giovani che possano trovare
nel dialetto impegnato le nostre radici e non semplicemente un modo un po’ snob di comunicare.
dr. Ferdinando Lucioni