PANOPTICON

Gentile Fiorenzo,

le trasmetto un riassunto delle annotazioni che avevo preso a suo tempo quando ho letto il romanzo della prof.ssa Brustia. Sono solo appunti che ho scritto currenti calamo mentre leggevo il romanzo. Non ho trovato il tempo per sistemarli a dovere. Se lo ritiene, li passi pure a Nucci. Magari possono essere l’occasione per parlarne con lei la prima volta che abbiamo modo di incontrarci de visu.

 

Il romanzo è ben riassunto nella riflessione che Fiorenzo Castiglioni offre al lettore nella prefazione:

“È con lo sguardo a 360° che ci si può liberare da ciò che spesso si tiene chiuso in cuore: per vergogna, per sensi di colpa, per rabbia, per timore… Gli occhi, che hanno gran parte in questo romanzo, sono portavoce dei nostri disagi e delle nostre pene, ma anche delle nostre gioie”.

 

Il titolo, Panopticon, sorprende: pur essendo indicativo di ciò che il romanzo vuole comunicare e prende spunto dalla stanza di Gennaro nel carcere dell’isola di Santo Stefano, è per me negativamente evocativo in quanto mi ha istintivamente rimandato al panopticon di Foucault che lo usa per descrivere la società moderna dove il “Sistema” piazza punti di osservazione da cui controlla  tutto quello che facciamo, ma questi punti non sono comunicati con chiarezza e, pertanto, sono supinamente accettati dalla maggioranza sociale che s’illude di essere libera. Può essere comunque un titolo azzeccato per quello che l’Autrice intende comunicare raccontando la storia di Anica e Veronica – figlia e madre – ma anche di Luigi e Cristina (marito e moglie) e il lettore del romanzo può agevolmente lasciarsi provocare dalle ultime righe del libro: “Lo spirito di Gennaro, che aleggia in questo luogo sacro, dall’alto del Panopticon (diventata suite extralusso di un albergo – ndr)  è felice e soddisfatto. … tutte le pedine sono al loro posto… negli animi di tutti regnano calma, tranquillità e serenità…”

 

I personaggi. Ben caratterizzati. Tutti, protagonisti, comprimari e occasionali. Non perde tempo (e righe) a descriverli, né s’avventura in introspezioni psicologiche che a me spesso risultano stucchevoli (ho in mente Senilità di Svevo, tanto per citarne uno): li racconta e li racconta bene; questo basta a caratterizzarli.

 

La trama. È semplice, chiara, lineare (come nello stile dell’Autrice), ma progressivamente avvincente il lettore che non si stanca nella lettura. Anzi: consiglierei di leggere il romanzo in un giorno in cui non si hanno altri impegni, così non si ha il rammarico di dover riprenderlo l’indomani per sapere come va la storia.

Originale l’éscamotage che tiene viva la curiosità del lettore: Veronica ce l’ha con l’Italia e gli italiani ed il motivo lo si comincia a sospettare quando Luigi vede in Anica qualcosa che lo turba, fino a quando si scopre il vero motivo dell’antipatia della madre.

 

Scritto molto bene. L’Autrice possiede ottima padronanza della lingua. Punti interessanti: pg. 65 (descrizione semplice, ma efficace), pg. 24 (quasi lirica), pag. 9, ma tutto il libro è ben scritto e – cosa per me piacevolissima – gli accenni, discreti, ma non per questo meno efficaci, al mondo classico provocano il lettore che ha voglia di lasciarsi provocare fino in fondo ad approfondire episodi della storia di Roma (il che non è un male).

 

Prerogativa di Nucci Brustia – per chi ha letto i suoi lavori precedenti – è “buttare là” riflessioni NEL racconto, senza l’aria di voler fare la morale. Pag. 13 (sui giovani), pag 29-30, pag.35, pag. 43… ma riflessioni del genere sono buttate là al momento giusto.

Il capitolo migliore è il 35.

 

 Ernesto Miragoli

 

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